IL DOLORE NELLO SPORT

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Sei reduce da un lungo infortunio che ti ha tenuto lontano dai campi di gioco e allenamento. Hai subito un intervento importante, un periodo di riposo e una lunga riabilitazione. Fatichi per riprendere la forma fisica persa giorno dopo giorno sapendo che il rientro è ancora lontano. Ogni giorno ti confronti con il dolore, sforzi l’arto infortunato per rinforzarlo, una parte del tuo corpo che non senti più come prima. Ti assalgono i dubbi, le preoccupazioni: “se non tornassi più come prima?” “E avessi una ricaduta?” “Cosa faccio se non potrò più giocare?” Se ti sei mai trovato in questa situazione probabilmente avrai sperimentato questo tipo di dolore, fisico e psicologico.

Il dolore e la fatica sono parti imprescindibili di ogni sport, sia evidentemente durante un infortunio, che durante la normale pratica sportiva. Il dolore sia fisico che psicologico sono infatti presenti nella vita di ogni atleta ad ogni livello. Gli acciacchi sono all’ordine del giorno, come si dice spesso “non si gioca mai al 100%”. Le sfide non finiscono mai e i dubbi e le preoccupazioni si ripresentano ad ogni ostacolo.  Lo sport è quel ambito in cui siamo sempre spinti a migliorarci, superare i nostri limiti e noi stessi con tutte le incertezze a questo collegate. È inevitabile soffrire e faticare, affrontare le difficoltà e metterci ogni volta in discussione per superare un nuovo ostacolo e raggiungere l’obiettivo successivo.

 

Il dolore nello sport

Se pensiamo alla nostra esperienza sportiva ci accorgeremo di come il dolore si “impara” allenamento dopo allenamento, gara dopo gara. Si apprende a convivere con esso e tollerarlo, affrontando nonostante la sua presenza le sfide con determinazione e coraggio.

La capacità di tollerare il dolore è quindi un fattore determinante che spesso impatta addirittura sul successo o l’insuccesso sportivo.

Questa capacità è fortemente influenzata da 3 fattori psicologici (ricerche del Centro Studi Psicosport di Milano):

  • Dipende da come si valuta il dolore (lo si pensa insopportabile o sopportabile)
  • A cosa lo si attribuisca (“deve esserci una lesione” o “sarà solo un acciacco” ad es.)
  • Come si riesce a gareggiare con esso (“ho paura di rompermi” o “se penso ad altro, a cosa devo fare in campo, nemmeno lo sento”).

Esempio;

Immaginiamo di giocare ad un qualsiasi sport con la palla: durante un’azione di gioco facciamo un cambio di direzione improvviso e mettiamo giù male il piede, la gara è importante, ma prendiamo una brutta distorsione. Il medico ci visita e dice che se il dolore non è troppo intenso possiamo tornare in campo. Ora potremmo valutare questo dolore in due modi a parità di situazione:

  1. Possiamo considerare il dolore come insopportabilmente intenso, che probabilmente è segnale di qualcosa di rotto e se rientriamo rischiamo di peggiorare la situazione e comunque non riusciremmo a giocare al meglio.
  2. Oppure potremmo vedere il bicchiere mezzo pieno, nonostante il dolore sia intenso si può stringere i denti e sopportare, come i tanti acciacchi passati passerà e se evito di pensarci a breve sarò assorbito dalla partita e non lo sentirò quasi più.

 

La percezione soggettiva del dolore fa la differenza

Spesso quindi ciò che fa la differenza non è tanto la situazione in sé, ma come questa situazione viene interpretata dall’atleta, dalla sua percezione, cioè dal senso che l’atleta dà alla sensazione di dolore.

In base alla disciplina sportiva praticata si hanno spesso percezioni comuni del dolore. Il nuotatore ha l’impressione che qualcosa lo spinga sulla schiena per farlo affondare. Lo sciatore sente le gambe come “di cemento”. Il ciclista sente la corsa come fosse in salita e il giocatore di basket sente la palla pesante come fosse di piombo.

Nello sport quindi il dolore è sempre presente. Questo per il motivo che c’è la costante necessità di spingerci oltre i nostri limiti di confort fisici e psicologici. Quello che fa la differenza tra un grande giocatore e un giocatore eccelso è spesso la barriera individuale del dolore (il limite superato il quale il dolore viene valutato insopportabile, pericoloso e d’ostacolo).

A tal proposito Michael Jordan diceva: “Il dottore dice che quando hai un dolore, ma hai altre cose che ti distraggono, il dolore non lo senti più così tanto…. È una faccenda mentale ed è su quello che c’è da lavorare”. (Krugel, 1994).

 

Psicologia del dolore

Non tutte le persone vengono colpite allo stesso modo dal dolore. Diventa quindi fondamentale  comprendere il vissuto dell’atleta, la sua personale percezione. Il dolore infatti non è sempre o solo legato alla parte fisiologica della lesione.

La particolare modalità soggettiva in cui si presenta il dolore dipende da l’interconnessione complessa di diversi fattori:

  • Interconnessione corpo e psiche: il livello di consapevolezza corporea, cioè quanto l’atleta abbia famigliarità con il proprio corpo e con i segnali che esso invia: quanto l’atleta sia consapevole di come la mente e il corpo si influenzino a vicenda in un dialogo continuo e biunivoco influenza fortemente l’esperienza soggettiva del dolore.
  • Interconnessione tra l’infortunato e le figure di riferimento: Il livello di isolamento a cui è soggetto l’atleta influenza fortemente l’esperienza del dolore dell’atleta. L’infortunio porta l’atleta ad un cambiamento dello stile di vita almeno momentaneo, non potendo più vivere la squadra e tutto ciò che è di contorno allo sport (tifosi, giornalisti, eventi, ecc) quotidianamente. È quindi importante che l’atleta mantenga contatti con il mondo dello sport e che altre figure di riferimento come amici e parenti lo sostengano durante questo periodo.
  • Interconnessione tra l’infortunio/malattia e il contesto socio-culturale: il senso che viene dato all’infortunio nel contesto in cui l’atleta è inserito è un altro fattore che influenza l’esperienza di quest’ultimo. Ogni contesto racchiude in se un specifica cultura che abbraccia anche il significato che viene dato al dolore o all’infortunio. Ad esempio se nella cultura dominante è forte l’idea secondo cui ciò che è importante nella vita è il piacere e il benessere inteso come assenza assoluta di dolore, l’infortunato verrà vissuto dagli altri come una minaccia, qualcuno che porta sofferenza da cui è meglio stare alla larga per vivere felici. Oppure può essere che nella storia del contesto del atleta infortunato siano famose le vicende di grandi campioni la cui carriera è stata stroncata dallo stesso infortunio che ha subito l’atleta. In questo caso alle preoccupazioni del giocatore si sommeranno quelle di chi lo circonda aumentandone la sofferenza e il pessimismo. Ancora diverso sarà invece l’effetto di una cultura in cui la sofferenza è concepita come parte naturale della vita, come opportunità di crescita e riscatto.

 

L’importanza d’accogliere il dolore

Per gestire al meglio il dolore diventa quindi fondamentale comprendere quali sono i significati che l’atleta gli attribuisce, accoglierli e lavorarci. Per questo motivo avvalersi della consulenza di uno psicologo sportivo diviene una risorsa preziosa per un atleta. Permette infatti di integrare la normale preparazione atletica, tattica e tecnica con l’allenamento mentale gestendo tutti i fattori psicologici coinvolti ed intervenendo prontamente.

In questo caso infatti l’intervento psicologico di punta infatti a favorire la verbalizzazione del dolore stimolando così la consapevolezza corporea dell’atleta. Offre un ascolto attivo focalizzato sulla problematica presente da dover affrontare comprendendone il vissuto globale (se vista come sfida, handicap, ingiustizia, perdita…). Viene quindi dato pieno ascolto alle preoccupazioni per il futuro, alle emozioni di rabbia, paura, tristezza e ansia, accogliendole e affrontandole, imparando a gestirle e trasformarle in emozioni motivanti.

 

Personalità Resiliente

In ambito Psicologico sono numerose le ricerche che vanno a studiare quali siano le caratteristiche personologiche che impattano in modo positivo sulla capacità di far fronte alle difficoltà. Da questo filone di ricerca ne deriva il concetto di resilienza.

Il termine «resilienza» deriva dalla metallurgia, dove indica la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Per un metallo quindi la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. Viene definita la resilienza psicologica come: la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino (P.Tabucchi; 2007).

Lo sport è quindi una palestra naturale che stimola e potenza la resilienza in chi lo pratica per il costante allenamento a superare i propri limiti di confort fisico e psicologico. D’altra parte è possibile che si possano riscontrare difficoltà a superare questi limiti in determinate circostanze. In questi casi possono essere allenate le determinate capacità psicologiche di resilienza permettendo agli atleti di crescere e superare problematiche o difficoltà.

 

 4 elementi psicologici della personalità resiliente

La personalità resiliente è composta da 4 elementi, i quali possono essere allenati attraverso un lavoro psicologico:

  • Il senso di controllo: gli atleti che lo posseggono non pretendono di governare tutto ciò che li circonda, sono consapevoli che lo sport può spesso presentare imprevisti e non va tutto sempre come ci si aspetta. Nonostante ciò sono fortemente fiduciosi nelle proprie capacità e di riuscire a improvvisare se necessario. Tale atteggiamento è osservabile come un’apparente naturalezza del gesto atletico che viene attuato in caso di inconvenienti.
  • Tolleranza alle frustrazioni: consiste nella capacità di sopportare le difficoltà, saper dilazionare le gratificazioni e, difronte un ostacolo insuperabile, perseverare adattando in modo flessibile i propri obiettivi alla situazione.
  • Capacità di ristrutturazione cognitiva: consiste nell’assumere un punto di vista differente quando si osserva un particolare evento. Ad esempio, un infortunio è senz’altro un fatto negativo, in quanto comporta la sospensione dall’attività sportiva, l’impossibilità di gareggiare. Se però si cambia il punto di osservazione si può vedere l’opportunità di passare più tempo con la propria famiglia, di avere modo di recuperare dagli sforzi fisici e trovare nuovi stimoli per ricominciare e tornare anche più forti di prima.
  • Attitudine alla speranza: la propensione a sperare che le circostanze prima o poi volgeranno al meglio. Quando sembra che non si possa fare più niente, quando gli eventi appaiono incontrollabili, l’unica cosa che rimane è la speranza, avere fiducia che la situazione non rimarrà per sempre così, che possa succedere qualcosa che possa permettere al soggetto di riscattarsi da un passeggero momento di crisi. Un pò come diceva Edison:”Credo nella fortuna: più lavoro, più m’aiuta.”

 

Riassumendo

Il dolore è parte naturale dello sport in quanto, in questo ambito, si è sempre spinti a superare i propri limiti di confort fisico e psicologico.

Il limite oltre il quale il dolore viene valutato dall’atleta come insopportabile, d’ostacolo e pericoloso è ciò che differenzia un grande sportivo da uno eccezionale.

È quindi la percezione soggettiva del dolore più che il dolore in se ad influenzare la performance sportiva dell’atleta.

Per questi motivi un lavoro su gli aspetti psicologici del dolore in ambito sportivo può essere molto prezioso per gestire al meglio tutti i fattori che ne influenzano l’esperienza dell’atleta. In questo modo è possibile motivarlo nel perseguire gli obiettivi e allenarlo a sviluppare o incrementare la propria resilienza.

Lo sportivo resiliente è quell’atleta che manifesta generalmente alcune caratteristiche peculiari. Innanzitutto l’abilità, sfruttando la propria esperienza, di improvvisare quando si trova difronte ad un imprevisto. In secondo luogo interpreta in maniera positiva e sfidante le difficoltà. Possiede la forte convinzione di poter influenzare la situazione in cui si trova. Accetta i propri limiti, riuscendo a preservarsi ed a trovare nuovi stimoli per affrontare le sfide. Infine una ri-strutturazione cognitiva degli eventi negativi che possono accadere gli permette di coltivare un’attitudine a sperare ed a perseverare.

Le caratteristiche psicologiche che rendono un atleta resiliente possono essere allenate attraverso un lavoro psicologico di Mental Training in cui crescere e apprendere come trasformare le difficoltà in opportunità e stimoli.